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Prove Invalsi ed esami di Stato: cosa c’è di nuovo?

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Quadri di riferimento, prove Invalsi ed esami di Stato: cosa c’è di nuovo?

Le risposte del Congresso.

Tra le risposte da sottolineare: rassicurati i docenti del liceo scientifico circa l’atteso “quadro di riferimento” per la redazione della prova scritta di matematica della maturità. La pubblicazione dei “quadri” per tutte le disciplne è data per imminente ed è probabile che nello spirito delle Indicazioni Nazionali il quadro per la matematica miri a rivalutare: la geometria euclidea e il processo dimostrativo, il calcolo algebrico e il calcolo infinitesimale (senza eccessivi formalismi), gli aspetti storici e culturali, mentre per alcuni temi quali le matrici, l’informatica, le equazioni differenziali pur essendo tra gli obiettivi specifici di apprendimento delle Indicazioni è probabile che non saranno inclusi tra i “nuclei tematici fondamentali” per la definizione delle prova scritta di giugno 2019.

 

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Pensionamenti scuola: domande

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Pensionamenti scuola: domande.

da CGIL Scuola

Entro il 12 dicembre le domande online

È stata pubblicata la nota operativa 50647 del 16 novembre 2018 e la tabella con i requisiti relativa ai pensionamenti del personale della scuola dal 1° settembre 2019, in attuazione del Decreto Ministeriale 727 del 15 novembre 2018.

La scadenza per la presentazione delle domande di dimissioni volontarie dal servizio (e l’eventuale richiesta di pensione più part-time) per il personale della scuola (docenti/educatori e ATA) è fissata al 12 dicembre 2018. Per i dirigenti scolastici il termine per la presentazione delle istanze è il 28 febbraio 2019.
Sempre nelle stesse date è possibile revocare la domanda di dimissioni che va condizionata all’effettivo possesso dei requisiti.

Per le dimissioni relative alla fruizione dell’istituto dell’APE sociale, in vista di modifiche normative, è prevista una specifica circolare.

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La signora maestra

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La signora maestra. Considerazioni sulla scuola di un tempo.

ELOGIO DELLA SIGNORA MAESTRA

 

Comunicato dell’Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante

Quando il livello degli apprendimenti forniti da un sistema scolastico nazionale decade in modo sensibile, è opportuno guardarsi indietro e chiedersi come mai ciò sia successo. La fase dell’analisi deve precedere quella dell’intervento, altrimenti quest’ultimo rischia di non centrare il bersaglio, anzi di inoltrarsi sulla strada sbagliata perpetuando l’errore.

Di fronte a una diffusa incapacità dei nostri alunni di scrivere in modo corretto – non si dice efficace, meno che meno elegante – di risolvere problemi matematica semplici, di collocare i principali eventi storici sulla linea del tempo, o di orientarsi in modo anche elementare nel sapere geografico, è dunque opportuno procedere per confronti, assumendo come termine di paragone una fase storica in cui la situazione era diversa ma, allo stesso tempo, sufficientemente omogenea rispetto all’ attuale. Non, per intenderci, la scuola “classista” (come oggi si sente dire, e ci esentiamo qui dall’entrare nel merito) modulata dalla triade Casati – Coppino – Gentile, la quale, in tutti i sensi troppo lontana dalla nostra, minerebbe alla base  la possibilità di un raffronto.

Andiamo dunque indietro nel tempo, ma non troppo, fermandoci alla nascita della Scuola Media Unificata (1963) la quale, qua e là ritoccata, è ancor oggi vigente. Diciamo che prendiamo di mira gli anni ’63 – ’70, quando si usciva dalle elementari ben altrimenti ferrati,  e la scuola media, quantunque unificata, non danneggiava più di tanto il prodotto.

Ci imbattiamo così  in una mitica figura: la “signora maestra”. C’era di certo, in quegli anni, anche  il “signor maestro”, assai più rappresentato, numericamente, di quanto non sia oggi. Ma per ragioni di comodità e anche un po’ di galanteria ci riferiremo, in questa righe, alla prima.

Quello che ci interessa comprendere è come e perché una tale figura che aveva alle spalle solo quattro anni di studi medio-superiori frequentati presso il defunto Istituto Magistrale, e che operava in classe, sostanzialmente, in splendida quanto ardua solitudine, sia riuscita a fare ciò che non riesce oggi a interi team di docenti laureati, dotati oltretutto di strumentazioni didattiche elettroniche che la Nostra neppure poteva sognarsi. Come cioè sia riuscita  a edificare le basi di una cultura nazionale mediamente solida, consistente in capacità linguistiche e matematiche di tutto rispetto, e conoscenze storiche e geografiche altrettanto ragguardevoli.

Diciamo subito che metteremo da parte le motivazioni di natura sociologica. Non tanto perché siano false, ma perché non sono utili ad affrontare il tema. Quand’anche  puntassimo il dito sulla conclamata crisi della famiglia, infatti, la nostra riflessione non ne trarrebbe vantaggio. E neppure se sottolineassimo le difficoltà determinate dalla presenza in aula di alunni di diversa origine culturale e linguistica, questione (sulla quale AESPI ha recentemente proposto classi ad hoc con aumentato monte ore linguistico) che attualmente si affronta con i classici pannicelli caldi, nonché cautelosi e politicamente corretti.

Neppure la nota argomentazione che pone l’accento sull’accresciuta complessità del sapere, e con ciò giustifica la presenza di un corpo insegnante numericamente più cospicuo e dotato di istruzione accademica, sembra  convincente. Il sapere non è mai stato semplice, e inoltre le basi di una cultura (perché è delle basi che stiamo parlando) non si costituiscono studiando la meccatronica o la chimica-fisica, e neppure la psicocritica letteraria.

Dunque cerchiamo di rimanere, per così dire, dentro il sistema, e di capire perché quello degli anni cinquanta-sessanta, in apparenza così povero, funzionava, e il nostro no.

Sicuramente la signora maestra, quando era a scuola, faceva soprattutto lezione. Le sue incombenze burocratiche erano limitate, e poteva così utilizzare tutte le sue risorse mentali e nervose per quello che rimane l’essenza dell’istituzione, cioè la oggi vituperata lezione frontale. Non doveva preoccuparsi di “certificare” ciò che i suoi alunni sapessero o non sapessero, limitandosi a valutare numericamente le loro interrogazioni e i loro elaborati.

Sicuramente la signora maestra godeva in classe di un rispetto che prescindeva dal grado di “autorevolezza” personalmente posseduto. Anche se magari noiosetta nelle spiegazioni e petulante nei fervorini, la si ascoltava limitandosi a sbuffare un po’ di nascosto. Poteva non essere autorevole, ma aveva comunque l’autorità: quella del suo ruolo. Se uno studente le avesse tirato addosso una sedia, se una mamma le avesse sputato in faccia, sarebbero stati presi illico et immediate provvedimenti tali da convincere l’uno e l’altra di non osare mai più tanto, e da lasciare loro un ricordo indelebile nonché istruttivo circa le conseguenze che le proprie azioni possono avere a questo mondo.

La signora maestra aveva un programma di studi al quale si doveva attenere, e che garantiva l’unità culturale della Nazione, cioè il fatto che le generazioni potessero parlare capendosi. Questo programma veniva svolto impartendo prima di tutto delle nozioni, le quali avevano come conseguenza, e non come premessa, il saper eseguire dei compiti (scrivere un buon tema, risolvere il problema, rispondere correttamente al questionario). Non esistevano test a risposte chiuse, di fronte ai quali la nostra insegnante si sarebbe chiesta quale vento di follia stesse spirando. Le risposte alle domande dovevano essere discorsive, in modo da non smarrire per strada le capacità espositive. Le “competenze” si maturavano sulla base delle nozioni impartite e apprese e delle esercitazioni assegnate dall’insegnante, non venivano programmate predisponendo “scenari” e proponendo “problem solving”.

La signora maestra non godeva neanche nei fifties di un lauto stipendio, ma di una decorosa considerazione sociale, sì. Nessun uomo politico si sarebbe sognato di dichiarare che nei mesi estivi avrebbe dovuto rimanere a disposizione a scuola per fare da badante ai ragazzini e sollevare così da tale incombenza genitori e nonni.

Ecco: con questi strumenti semplici e di buon senso, con questa dignitosa povertà di mezzi, con l’autorità conferitale dal riconoscimento sociale del suo lavoro, la signora maestra, in quell’Italia che risentiva ancora dei postumi della guerra, andava facendo gli italiani.

Il tempo passa, e le epoche e le fasi storiche, si sa, non si recuperano come un vecchio abito dimenticato nel fondo di un armadio. Non sarebbe neppure giusto cercare di farlo. Ma è lecito chiedersi se quella semplice maestra non laureata, quella  signora maestra, possa ancora indicarci una strada – non esattamente la sua, ma analoga almeno nei principi generali e fondanti – per uscire dalla palude in cui ci siamo intrappolati.

Milano, 20.11.2018

Alfonso Indelicato – Responsabile della Comunicazione A.E.S.P.I.

 

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Abolizione materie e scelta insegnanti

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CONVEGNO ANP 

da ANP – ANSA

La scuola del futuro al MAXXI – bellezza, efficacia, sicurezza

Via le materie, ovvero superamento delle discipline scolastiche a favore degli argomenti; via le|graduatorie, lasciando al dirigente scolastico la possibilità di scegliere gli insegnanti supplenti sulla base delle competenze…

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Formazione

Corsi di formazione accreditati dal MIUR – Carta Docente

Privacy e alunni

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T

PRIMA O POI DOVEVA SUCCEDERE: DENUNCIA ALLA POLIZIA POSTALE

Video degli alunni sul web, la maestra viola la Privacy”

Lo dicevamo da tempo nelle varie occasioni di formazione docenti sia a livello regionale che nazionale. Si percepisce in modalità diffusa la carenza di personale esperto in materia, complessa e soggetta a numerosi aggiustamenti nel tempo, nel mondo scuola. Il rischio è alto, soprattutto per quei docenti animati dall’idea di praticare una didattica contemporanea che ha il suo fulcro nelle tecnologie Didattiche con tutte le conseguenze del caso. 

 Pubblicare immagini di minori che facilitano la loro identificazione è un’azione impossibile: non basta una semplice liberatoria del genitore, il Garante lo ha affermato con chiarezza.

Ma il settore delle immagini e dei video non è l’unico scenario in causa. Consideriamo l’utilizzo di piattaforme, forum, siti personali. 
Quanti insegnanti, animati da propositi costruttivi, hanno creato una piattaforma personale (esempio fra tutti Edmodo che fino a poco tempo fa andava di gran moda) inserendovi i dati personali dei propri alunni. Si può fare?  sappiamo che in Italia solo a 14 anni è possibile avere un account di posta elettronica indispensabile ad iscriversi ad ambienti come Moodle.

I dati personali degli studenti dovrebbero appartenere ed essere gestiti dall’Istituto e non dai docenti. E’ come immaginare che un medico ospedaliero utilizzasse i dati dei pazienti per il suo studio privato? Senza considerare che in una piattaforma gestita privatamente possono confluire elaborati come temi contenenti situazioni personali o familiari. 

Ci troviamo quindi di fronte a scenari complessi e delicati dove si cammina su campi minati con conseguenze importanti. Certo è che farlo con gli occhi bendati, senza l’adeguata preparazione e competenza, è un comportamento da evitare con grande attenzione.

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Formazione

Corsi di formazione accreditati dal MIUR – Carta Docente

Tempo Pieno

Eventi locali, nazionali e internazionali.

Tempo pieno in tutte le scuole elementari». Emendamento M5S

La proposta, approvata in Commissione Cultura, ora dovrà passare dalla Commissione Bilancio. C’è il problema delle coperture finanziarie anche se per ora si parla solo di 2.000 maestre in più (su 15 mila scuole)Da: Corriere della Sera – scuola

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Formazione

Corsi di formazione accreditati dal MIUR – Carta Docente

Ricercatori universitari

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RICERCATORI DETERMINATI: PERCHÉ NOI NO?

Da Cgil

– I ricercatori universitari invecchiano nel precariato, mentre in altri comparti della pubblica amministrazione i precari vengono stabilizzati. Perchè noi no?
– L’Italia è capofila nei tagli all’Università e alla ricerca, mentre in altri paesi europei si investe su questi settori.  Perchè noi no?
–  Nei  nostri  atenei  sperimentiamo  precariato  selvaggio  e  lavoro  gratuito, mentre i nostri colleghi europei, che entrano in ruolo tra i 30 e i 35 anni, nel percorso precedente hanno diritti e retribuzioni adeguate. Perchè noi no?

Dopo la grande crisi del 2008/2009 l’Italia ha consistentemente ridotto le risorse per scuola, università e ricerca, in controtendenza rispetto a tutti i paesi OCSE. Negli ultimi 10 anni si è ridimensionata strutturalmente la formazione superiore nel nostro paese: tagli al FFO (oltre un miliardo di euro dal 2008), blocco del turn-over (circa 15 mila docenti di ruolo in meno su 60.000, in particolare ordinari, con una riduzione percentuale che si aggira intorno al 25%), contrazione  dei  fondi  per  la  ricerca  (PRIN,  FIRB  e  FIRST  a  singhiozzo,  spesso ridimensionati rispetto gli anni precedenti), riduzione delle sedi e dei corsi di laurea (circa il 20% in meno). Tale livello di definanziamento, aggravato da un’iniqua ripartizione delle risorse dovuta ai meccanismi di attribuzione premiale, ha messo in crisi la tenuta del sistema nazionale universitario, accrescendo i divari e penalizzando la parte più debole del Paese. Conseguentemente, in risposta alla riduzione verticale del personale strutturati, la precarizzazione del lavoro di ricerca e di didattica è arrivata a toccare soglie ben oltre quelle raggiunte dagli altri settori pubblici, sia in termini di ampiezza che di stagnazione del fenomeno. Ai circa 45.000 strutturati, si affiancano 3.300 ricercatori di tipo A e quasi 2.500 ricercatori di tipo B e circa 13.000 assegnisti di ricerca, necessari per garantire in tutti gli Atenei l’ordinario e fisiologico lavoro didattico, di ricerca e in alcuni contesti persino istituzionale (dalla semplice partecipazione ai requisiti minimi per l’attivazione dei corsi sino all’attivo impegno in organi, commissioni ed attività dell’Ateneo). In particolare l’assegno di ricerca -un contratto para-subordinato, rinnovabile fino a 6 anni, con scarsissime tutele, si è rivelato essere la chiave di volta dello sfruttamento del lavoro precario nell’Università. Gli atenei non hanno esitato ad abusarne, evitando di bandire posti da RTD, più costosi e maggiormente tutelati dal punto di vista contrattuale. L’universo dei precari dell’università è inoltre   composto   da   altre   figure   che   svolgono   attività   di   ricerca   con   contratti  di collaborazione, borse di ricerca (finanziate anche da soggetti esterni) o, spesso, gratuitamente. Con tutte queste figure si intrecciano coloro che svolgono attività di docenza a contratto (senza essere strutturati), circa 19.000 nelle università statali. Ciò è inaccettabile per il presente e il futuro dell’Università. E’ a rischio, ormai da anni, la tenuta del sistema universitario italiano e quindi la sua funzione. Ne paga un prezzo altissimo tutto il paese, per primi coloro che sono chiamati a tappare i buchi di un sistema iniquo: i ricercatori precari che svolgono attività di ricerca e didattica essenziali al funzionamento delle Università e devono avere prospettive certe di stabilità.

Al danno si è aggiunta la beffa che in questo caso ha preso le sembianze di una singolare discriminazione dei precari dell’università. Sugli altri comparti della pubblica amministrazione è intervenuta di recente la cosiddetta Legge Madia che consentirà, tramite un meccanismo di cofinanziamento, la stabilizzazione di un consistente numero di precari. Risulta a questo proposito paradossale la discriminazione dei ricercatori precari dell’università, figure analoghe, se non addirittura identiche, a quelle che operano negli enti pubblici di ricerca, ma ai quali non si offre nessuna prospettiva analoga di stabilizzazione o reclutamento.

E’ dunque urgente, a fronte della lunga fase di contrazione che abbiamo vissuto, che ha messo in discussione le condizioni di lavoro e di vita di un’intera generazione di ricercatori, un piano straordinario di stabilizzazione e reclutamento, in grado di intervenire sulla piaga del precariato, insieme a una riforma del preruolo universitario che garantisca condizioni e prospettive di lavoro adeguate.

Tutto questo deve incardinarsi su un rilancio del sistema universitario pubblico, con una ripresa   stabile  dei  finanziamenti  e  un   intervento  normativo  per  superare   le  tante contraddizioni  prodotte  dalla  Legge  240/2010 e  dai  successivi  interventi  legislativi,  per superare la logica delle eccellenze e garantire qualità della didattica, sviluppo della ricer ca e diritto allo studio in tutte le sedi del paese.

In questa ottica, crediamo che siano necessari

  1. 1. STABILITA’ PER GLI ATTUALI PRECARI DELL’UNIVERSITA’. L’università non può procedere a forza di interventi straordinari. Tuttavia è  improrogabile  sanare l’enorme bacino di precariato (con anni di anzianità di ricerca alle spalle) che si è determinato in più di un decennio per rispondere alle esigenze del sistema universitario drammaticamente sotto organico e per offrire una prospettiva alle tante e ai tanti che da anni svolgono attività di ricerca e didattica nei nostri atenei. Serve dunque un intervento straordinario di reclutamento rivolto a chi ha tenuto in piedi in questi anni le nostre università, in analogia con quanto previsto per gli Enti Pubblici di Ricerca.
  2. 2. RECLUTAMENTO ORDINATO E CICLICO. Oltre a sanare l’attuale situazione di precarietà bisogna impedire che si ricreino in futuro le stesse dinamiche. Chi intraprende il cammino verso la docenza universitaria deve avere reali prospettive di reclutamento. Per questo va attivato fin da subito, parallelamente al percorso di stabilizzazione dei precari storici una programmazione del reclutamento ordinata e stabile, non inferiore al numero dei pensionamenti previsti, da attuarsi anche attraverso la piena separazione, normativa e finanziaria, tra reclutamento e progressione di carriera, insieme all’abrogazione del meccanismo dei punti organico.
  3. 3. RIFORMA DEL PRERUO Per garantire tale reclutamento ordinario e stabile, garantire una condizione contrattuale adeguata in termini di retribuzione, diritti e tutele e  il  pieno  riconoscimento  del  suo  ruolo  di  ricercatore  sancito  dalla  carta europea dei ricercatori è necessario intervenire normativamente per riformare il preruolo. Occorre creare un’unica figura di ricercatore a  tempo determinato  con contratto di lavoro subordinato che sostituisca le attuali figura previste dalla legge 240/2010. Tale pre-ruolo unico deve ridurre drasticamente la durata complessiva dei contratti  postdoc  previsti  dalla  legge  240/10  (oggi  12),  arrivando  almeno  a dimezzarla.
  4. 4. FINANZIAMENTI Ciò significa che al sistema universitario deve essere restituito quanto sottratto con i tagli dell’ultimo decennio, ma anche che, più  in generale, devono essere previsti livelli di finanziamento ben diversi da quelli attuali e in linea con gli standard europei. Si tratta di attivare uno stanziamento straordinario per il reclutamento su citato e per l’attivazione di nuove posizioni preruolo (in un preruolo riformato) ripensando complessivamente il peso dell’Università e ricerca pubbliche nel bilancio dello stato. La proposta qui presentata si muove su questi pilastri, fra loro inseparabili: piano di stabilizzazioni per i precari storici, ripresa di un un reclutamento ordinato e stabile, riforma del pre-ruolo universitario, ovviamente nel quadro di una ripresa dei finanziamenti.
  5. 1. STABILITA’ PER GLI ATTUALI PRECARI DELL’UNIVERSITA’

L’intervento straordinario di reclutamento orientato alla stabilizzazione degli attuali precari dell’università è necessario per traghettare il sistema verso un nuovo, più efficiente e giusto, modello di organizzazione del pre-ruolo e del ruolo universitari e offrire risposte alle giuste aspettative di carriera degli studiosi abilitati e che si abiliteranno.

  1. a. Ricercatori a tempo determinato di tipo a

In  analogia con quanto previsto per i ricercatori degli Enti Pubblici di ricerca gli attuali ricercatori  a  tempo  determinato  di tipo a1   con almeno  tre  anni  di  contratto  alle  spalle (maturati anche con assegno di ricerca, borse di ricerca o docenze a contratto o altre forme contrattuali flessibili, negli ultimi 8 anni) già abilitati o che conseguono l’abilitazione nel triennio  devono  poter  convertire  la  loro  posizione  in  quella  di  ricercatore  a  tempo determinato tipo b articolo 24 comma 3 attraverso una procedura riservata.

  1. Assegnisti di ricerca

Per gli attuali assegnisti di ricerca2  con almeno tre anni di attività di ricerca alle spalle (maturati anche con borse di ricerca o docenze a contratto o altre forme contrattuali fless ibili negli ultimi otto anni) devono essere previste:
– procedure riservate per gli assegnisti abilitati ai fini del reclutamento nella posizione di ricercatore a tempo determinato articolo 24 comma 3 tipo b;
– procedure riservate, al fine di acquisire l’abilitazione scientifica nazionale e poi poter avere accesso al ruolo, riservate agli assegnisti triennali in scadenza per il reclutamento nella posizione di ricercatore unico post doc (vedi paragrafo 3), o esclusivamente in via transitoria, a tempo determinato articolo 24 comma 3 tipo a.
Chiediamo sia una modifica legislativa che renda possibile per gli Atenei italiani attivare, sulla base dei propri fondi e della propria programmazione, tali procedure, sia uno specifico intervento economico per coprirne i costi.

1 In analogia con quanto previsto dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 ci si riferisce a coloro che risultino in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 presso l’amministrazione, e che abbiano maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione in questione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
2 In analogia con quanto previsto dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 ci si riferisce a coloro che risultino titolari, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce la procedura comparativa; abbiano maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione in questione.

  1. c. Proroga straordinaria delle abilitazioni di almeno quattro anni.

La normativa prevede che le abilitazioni scientifiche (ASN) siano valide per un periodo massimo di 6 anni. La lunga fase di contrazione delle risorse ed il blocco del turn over h a però impedito a molti, per diversi anni, di poter concretamente far valere le abilitazioni ottenute. Per alcuni Atenei queste difficoltà perdureranno ancora per diversi anni, senza interventi strutturali di ri-finanziamento. Per questo, si chiede una proroga straordinaria di tutte le abilitazioni ottenute nel periodo 2012-2018 di almeno quattro anni, affinché queste condizioni non pesino ulteriormente su questa generazione di ricercatori.

Più  in generale, tuttavia, si tratta di accendere un faro  sui mecca nismi dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN) costruita su parametri quantitativi talvolta iniqui e spesso astratti dal concreto lavoro di ricerca, applicata con procedure oscure, farraginose e talvolta astruse. Il tutto nel quadro della progressiva affermazione dell’ANVUR, affermazione che ha sempre più  assunto  la  funzione  di  vero  centro  direzionale  dell’università  italiana,  imponendo parametri e obiettivi discutibili, che sono diventati determinanti per accedere a consistenti quote di finanziamento.

  1. 2. PIANO DI RECLUTAMENTO ORDINATO E CICLICO.

Il piano straordinario orientato a stabilizzare gli attuali precari dell’università sopra descritto è necessario per recuperare la significativa perdita di docenti e ricercatori registrata in questi anni, oltre che per offrire doverosamente prospettive a tutti coloro che hanno tenuto in piedi i nostri atenei in anni di crisi. E’ orientata quindi, a ripristinare le condizioni minime di funzionamento dell’università. Contestualmente, tuttavia, è necessario garantire la ripresa di un reclutamento ordinato e stabile al 100% del turn over. Parallelamente, quindi, devono essere attivate nuove posizioni di RTD unico preruolo qui sotto descritto (in via transitoria RTDa e, successivamente, RTDb), nell’ottica di un reclutamento che preveda una programmazione degli ingressi in ruolo in base al fabbisogno degli atenei, comunque non inferiore al numero di pensionamenti.  Per evitare il ricrearsi di sacche di precariato senza prospettiva l’attivazione di contratti preruolo a sistema deve essere congrua e rapportata alle previsioni di un reclutamento tale da ripristinare i livelli adeguati di personale strutturato per gli atenei. In questa ottica, lo stanziamento e distribuzione delle risorse dovrà prevedere un meccanismo di riequilibrio a livello territoriale e disciplinare, in modo da non accentuare le differenze oggi esistenti fra atenei e ambiti di ricerca. A regime, nel quadro della riforma del pre-ruolo qui proposta, si dovrà prevedere sostanzialmente il rapporto di 1:1 tra il reclutamento di rtd unico (vedi paragrafo 3) e pensionamento di un docente strutturato.

  1. 3. RIFORMA DEL PRERUOLO

Oggi il pre-ruolo è una via crucis fatta di rinnovi di anno in anno di contratti precari, senza certezze, per una durata totale di 14 anni fra assegni, RTDa e RTDb, in cui – bene che vada

– un “giovane” ricercatore può ambire a diventare associato intorno ai 40 anni. In realtà, con gli attuali livelli di reclutamento e tassi di abilitazione dell’ASN, stimiamo che solo il 6,5% degli attuali assegnisti potrà ambire a una posizione strutturata, mentre più del 93% sarà espulso dal sistema universitario, il 27% dei quali al termine di un contratto da RTDa. È ora di dire basta e di promuovere una radicale riforma del pre-ruolo universitario che sottragga i giovani ricercatori dal ricatto dell’economia della promessa e garantisca loro condizioni di lavoro, di vita e prospettive adeguate.

Contratto RTD unico per il post-doc

In ragione delle criticità evidenziate, relative agli attuali contratti di assegno di ricerca, e con l’obiettivo di semplificare  ed uniformare le forme di lavoro  post-dottorale, proponiamo  il superamento della forma contrattuale dell’assegno di ricerca (così come normato dall’art. 22 della L.240/2010) e del RTDa (di cui all’art.24, comma 3, lett. a), in favore di un unico contratto post-doc da Ricercatore a Tempo Determinato (RTD) con tenute track.

Tale contratto dovrebbe prevedere un rapporto di lavoro di tipo subordinato in modo da garantire piene tutele sociali e previdenziali, incluso l’accesso a forme di indennità ordinaria di disoccupazione alla scadenza del contratto. Tale contratto, di durata di 4 anni, dovrebbe essere articolato in due livelli: junior (primi due anni) prevalentemente con compiti di ricerca; senior (ultimi due anni) anche con compiti di didattica. Il passaggio fra livello junior e senior non comporta un concorso, ma una valutazione sull’attività svolta. Come  conseguenza  del  contratto  unico,  il  trattamento  economico  spettante  agli  RTD dovrebbe essere equiparato, per i primi due anni, a quello di un attuale RTDa e per gli ultimi due a quello spettante all’attuale RTDb, ovvero fino al 30% in più.

Al fine di attivare uno strumento che consenta un adeguato apporto di lavoro di ricerca per i progetti attivati su fondi esterni e, contemporaneamente, di evitare ogni possibile abuso, si prevede una quota di posizioni RTD senza tenure track di durata di minimo 1 anno e massimo 2 anni, non rinnovabili. Tale quota non può in ogni caso superare ¼ delle posizioni di rtd unico con tenure track. Se così non fosse si rischierebbe di assistere ad una proliferazione abnorme di contratti non-tenured, più economici per gli atenei, a scapito di quelli tenured, replicando la dinamica a cui abbiamo assistito negli ultimi anni con gli assegni di ricerca.

RIFORMA DELLA DOCENZA A CONTRATTO

Contemporaneamente al post doc è necessario anche ripensare le docenze a contratto. La possibilità di usare tali figure anche per ricoprire  le  esigenze didattiche di base, come stabilito dal decreto Berlinguer del 1998, ha portato in questi ultimi 20 anni -in particolare a partire dal 2015 a seguito del dl 194/2015- sia a una loro crescita numerica esponenziale, sia a un crescente carico delle loro mansioni a fronte anche del restringimento del corpo dei docenti. Gran parte di chi svolge docenze a contratto non risponde alla figura del professionista   esterno   con   alte   competenze,  bensì   ingrossa   le   fila   del   precariato accademico, alternando o sommando  tali contratti con assegni e borse di ricerca, ecc. Per questi ultimi, se responsabili di incarichi di insegnamento, è necessario prevedere contratti annuali TD, il cui compenso va calcolato sulla base del complessivo carico dell’attività didattica, carico complessivo che è già riconosciuto al personale strutturato (350 ore assegnate a professori, ricercatori TI e ricercatori TD). Una revisione del trattamento economico su base della complessiva attività didattica va estesa anche alle figure di cui al comma 1, art. 23 della l.n. 240/2010. Il rapporto tra ore di lezione frontale e attività didattica complessiva  va  calcolato  gradualmente  a  decrescere  nel  loro  rapporto.  E’  nece ssario, inoltre, abolire la possibilità di stipulare docenze a titolo gratuito.

  1. 4. FINANZIAMENTI

La priorità e l’urgenza degli interventi previsti deve in ogni caso esser ricondotta nel quadro generale di una vertenza per il rilancio del sistema universitario pubblico. Per questo è imprescindibile un ritorno almeno ai livelli di finanziamento degli altri paesi europei (nel complesso, almeno 1,5 miliardi di euro all’anno), in grado di garantire un adeguato rifinanziamento del fondo ordinario; il diritto all’accesso e allo studio universitario (tasse e servizi); il recupero del potere d’acquisto per il personale tecnico amministrativo (oltre che percorsi di sviluppo di carriera in linea con il comparto della conoscenza); il recupero dei diritti nelle progressioni di carriera dei docenti (scatti anzianità); nuove risorse per la ricerca, a partire da quella di base e non finalizzata.

In particolare le proposte di stabilizzazioni, reclutamento e riforma del preruolo possono sostenersi e giovare al sistema universitario solo se si accetta di mettere in campo precise misure per sostenerlo. In primo luogo è necessaria l’abolizione dei punti organico, la cui introduzione e ripartizione tra vari contratti ha fatto sì che la tipologia e la numerosità dei posti banditi non fosse collegata alle reali necessità di reclutamento, fornendo al contrario un pretesto per la proliferazione degli assegni di ricerca e lo scarsissimo reclutamento di RTD. Contemporaneamente  è  necessario separare  i fondi  destinati al  reclutamento  da  quelli destinati alle progressioni di carriera, e garantire l’introduzione di un vincolo nella ripartizione di tali fondi. Allo stesso tempo è necessario che le ingenti risorse liberate di anno in anno dai pensionamenti siano indirizzate nella loro totalità ai fini del reclutamento e delle progressioni di carriera. Così come vanno rese disponibili le risorse per inquadrare gli attuali RTI ad esaurimento nei ruoli per cui hanno conseguito l’abilitazione.

Ruolo Unico della Docenza

In realtà è necessario superare la distinzione ormai anacronistica di status accademico, ruoli e prerogative tra PO e PA in favore di un’unica figura di docente di ruolo dopo la tenure track del RTD unico, una figura da articolare su più fasce stipendiali.

Conclusione

La riforma del pre-ruolo e l’annesso piano di reclutamento e  stabilizzazioni proposte si integrano a vicenda. Solo la loro implementazione congiunta  è in grado di garantire la “messa in sicurezza” del sistema universitario, premessa indispensabile perché l’università torni  a  crescere  e ad  assumere  il  ruolo  di  motore  dello  sviluppo  sociale,  culturale  ed economico del Paese. Ad oggi migliaia di ricercatori sono costretti a lasciare l’Università dopo anni di lavoro, con una dispersione di risorse e potenziale di sviluppo umane che erode nelle fondamenta la capacità di innovazione dell’intero Paese. Il piano di reclutamento qui avanzato restituisce una prospettiva alle migliaia di ricercatori precari, riportando in tempi brevi la numerosità del personale strutturato ai livelli del 2008. Questo consentirebbe un deciso miglioramento dell’offerta didattica e di ricerca del sistema universitario italiano.

Questa  piattaforma  è  da  intendersi come  una  bozza  non  chiusa  né conclusa.  Al contrario vuole essere uno strumento a disposizione di assemblee da costruire nelle Università e nei luoghi della ricerca. Le proposte qui avanzate sono quindi aperte a tutti coloro che vorranno contribuire, anche criticamente, nell’ottica di costruzione di una piattaforma la più possibile ampia, inclusiva e condivisa.

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Concorso: chi puo’ partecipare

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Concorso straordinario docenti scuola primaria e dell’infanzia: chi può presentare domanda

A disposizione dei nostri lettori la scheda di approfondimento sui requisiti per partecipare al concorso.

Da Cgil

E’ stato pubblicato sulla G.U. il bando di concorso straordinario per titoli ed esami per il reclutamento di personale docente della scuola dell’Infanzia e Primaria su posto comune e di sostegno. La domanda di partecipazione dovrà essere presentata esclusivamente tramite istanze on line nel periodo compreso fra le ore 9.00 del 12 novembre 2018 e le ore 23.59 del 12 dicembre 2018
Ciascun candidato potrà presentare l’istanza di partecipazione in un’unica Regione per tutte le procedure concorsuali per le quali ha titolo a partecipare. E’ dovuto il pagamento di 10 euro per diritti di segreteria per ciascuna procedura per cui si concorre (infanzia / primaria / sostegno infanzia / sostegno primaria).

Requisiti per partecipare al concorso

Chi può presentare la domanda I docenti in possesso dell’abilitazione per la scuola primaria o dell’infanzia acquisita con diploma magistrale con valore abilitante o diploma sperimentale a indirizzo linguistico, conseguiti presso gli istituti magistrali entro il 2001/2002, o laurea in Scienze della Formazione Primaria e due annualità di servizio specifico presso la scuola statale, negli ultimi 8 anni, svolto su posto comune o di sostegno.
Abilitazioni utili per accedere al concorso straordinario

Scuola dell’infanzia

  • Laurea vecchio ordinamento (quadriennale) in Scienze della formazione primaria, indirizzo infanzia.
  • Laurea magistrale a ciclo unico in scienze della formazione primaria a ciclo unico (quinquennale).
  • Possesso del titolo di studio comunque conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimentali della scuola magistrale.
  • Possesso del titolo di studio comunque conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, al termine dei corsi quadriennali o quinquennali sperimentali (anche linguistici) dell’istituto magistrale.

Scuola primaria

  • Laurea vecchio ordinamento (quadriennale) in Scienze della formazione primaria, indirizzo primaria.
  • Laurea magistrale a ciclo unico in scienze della formazione primaria a ciclo unico (quinquennale).
  • Possesso del titolo di studio comunque conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, al termine dei corsi quadriennali o quinquennali sperimentali (anche linguistici) dell’istituto magistrale.
Come e quando si presenta la domanda La domanda si presenterà attraverso Istanze online, i termini saranno indicati dal bando.
Come si calcola l’annualità Una annualità è ottenuta con 180 giorni di servizio, anche non continuativi, oppure con il servizio continuativo dal 1° febbraio agli scrutini finali/termine delle attività didattiche.
Chi può presentare domanda per il sostegno Possono presentare domanda per il sostegno i docenti che abbiano i requisiti indicati per il posto comune e siano anche in possesso della specializzazione di sostegno.
Chi può presentare domanda con riserva Possono presentare domanda con riserva coloro che hanno acquisito l’abilitazione all’estero, e ne abbiano chiesto (o ne chiedano) il riconoscimento entro la data di scadenza del bando.
In questo caso i candidati partecipano al concorso con riserva di accertamento del possesso dei requisiti di ammissione. In caso di carenza degli stessi, gli uffici scolastici dispongono l’esclusione dei candidati, in qualsiasi fase della procedura concorsuale. 
Per i posti di sostegno possono presentare domanda, con riserva, anche coloro che stanno acquisendo la specializzazione (in particolare con il TFA sostegno III ciclo), purché il titolo venga conseguito entro il 1° dicembre 2018.
 

Scarica la scheda in formato .pdf

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Concorso straordinario, pubblicato il bando. Scadenza domande 12 dicembre 

Da Cisl

E’ stato pubblicato sulla G.U. il bando di concorso straordinario per titoli ed esami per il reclutamento di personale docente della scuola dell’Infanzia e Primaria su posto comune e di sostegno. La domanda di partecipazione dovrà essere presentata esclusivamente tramite istanze on line nel periodo compreso fra le ore 9.00 del 12 novembre 2018 e le ore 23.59 del 12 dicembre 2018
Ciascun candidato potrà presentare l’istanza di partecipazione in un’unica Regione per tutte le procedure concorsuali per le quali ha titolo a partecipare. E’ dovuto il pagamento di 10 euro per diritti di segreteria per ciascuna procedura per cui si concorre (infanzia / primaria / sostegno infanzia / sostegno primaria).

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